L’accesso a Internet è ancora un privilegio economico e sociale: lo dice uno studio della Web Foundation, di cui il sito The Guardian ha avuto un’anticipazione esclusiva. La crescita degli accessi alla Rete è infatti drasticamente rallentata nel mondo e miliardi di persone nei paesi più poveri o isolati restano in pieno digital divide. Secondo lo studio, che ha usato dati Onu, nel mondo 3,8 miliardi di persone non sono online; particolarmente penalizzate le donne, i paesi africani e le comunità rurali. La Web Foundation – l’organizzazione creata dal padre del web Tim Berners-Lee – ha rilevato che il tasso di crescita dei nuovi accessi a Internet è passato in dieci anni dal 19% del 2007 al 6% dell’anno scorso, con una brusca frenata a partire dal 2015.
Il trend è “preoccupante”, ha affermato Dhanaraj Thakur, research director della Web Foundation; “abbiamo sottovalutato il rallentamento. Il fatto che alcune persone siano online e altre no significa inasprire le diseguaglianze che già esistono“. Tutte le opportunità di lavoro, crescita economica, studio, informazione e comunicazione offerte da Internet sono precluse ancora a molti abitanti del pianeta. Per l’Onu è online una persona che ha usato Internet da un qualunque device in qualunque posto del mondo almeno una volta negli ultimi tre mesi. L’obiettivo delle Nazioni unite sullo sviluppo sostenibile che punta all’accesso a Internet per tutti nel 2020 appare ora quasi una chimera. I dati anticipati dal Guardian sono drammatici: nel 2016 il 98,2% degli islandesi è online contro l’1,2% degli eritrei e l’1,9% dei somali.
Malcolm Johnson, vice segretario generale dell’Itu (la International Telecommunication Union, parte dell’Onu) condivide l’allarme della Web Foundation: i dati che saranno rilasciati al pubblico a dicembre mostrano che il rallentamento della crescita globale degli accessi a Internet sta proseguendo. “Deve succedere qualcosa di nuovo per ribaltare l’andamento. Abbiamo bisogno di connettività a prezzi molto più bassi e di offrire contenuti capaci di attrarre le persone a usare Internet”, ha detto Johnson. In alcune aree del mondo isolate e difficilmente accessibili attivare la connettività Internet è molto costoso e le telco rinunciano, osserva Johnson, ma non è solo questione di investimenti di rete o di costi: alcune persone delle comunità più povere che pure riescono ad avere un dispositivo e a permettersi un piano dati, non hanno le competenze per andare online o non trovano utilità perché i contenuti sono in una lingua che non capiscono.
Una svolta potrebbe arrivare da tecnologie innovative, che forniscono accesso a Internet tramite satellite o palloni aerostatici: secondo il rappresentante dell’Itu, sperimentazioni come Project Loon di Google potrebbero “fare la differenza”. Anzi, si tratta di più che semplici sperimentazioni, visto che a luglio la capogruppo di Google, Alphabet, ha promosso Loon portandolo fuori dal laboratorio X e trasformandolo in unit indipendente, o spin-off, segno che l’azienda vede più vicine le applicazioni commerciali. I palloni aerostatici di Loon navigano seguendo le correnti nella stratosfera, a circa 13 miglia di altitudine, e si fermano in gruppi nelle destinazioni; qui agiscono come una sorta di torre mobile temporanea che galleggia nell’aria e porta Internet nelle aree più remote.
Fonte: Patrizia Licata per Corrierecomunicazioni.it